
La memoria depositata da parte attrice merita alcune puntualizzazioni.

1) La controparte tenta abilmente di suffragare la tesi secondo cui il libro della "Bibbia" costituirebbe libro di testo adottato nelle scuole.
La difesa esponente ribadisce come la lettura delle norme regolamentari di
specie (D.P.R. 305/2004 e 39/2006) non avalla affatto l'interpretazione proposta
ex adverso. Invero, tali norme si limitano ad approvare gli "obbiettivi specifici di
apprendimento", distinti per "conoscenze" ed "abilità". Nell'ambito di tali obbiettivi
si parla - certo - della "Bibbia", ma ai soli fini della sua "conoscenza". Si
propone, cioè, che gli studenti conoscano cosa sia quel testo, di che cosa tratti,
con la specificazione - per l'appunto - che essi possano giudicarlo quale "documento storico-culturale" e "parola di Dio". Si tratta, evidentemente di due
specifiche connotazioni nell'ambito dell'insegnamento della religione cattolica: la
prima evidentemente finalizzata a far sapere agli studenti che quel testo
costituisce la fonte di quella religione sotto il profilo storico-culturale; la seconda
che quel testo, divinamente ispirato, costituisce la fonte della fede medesima. Ma
mai, ed in alcun modo, le norme regolamentari dicono che il testo della "Bibbia"
costituisce "testo scolastico".

2) Non è dato di comprendere (tanto più di condividere) la lettura strumentale che
parte attrice propone di alcune frasi della "comparsa di costituzione" della
esponente, peraltro estrapolandole da contesti ben più ampi. In particolare, la controparte definisce come "paradosso" (pag. 8 della memoria) la
frase secondo cui "Nessuno ha mai impedito, né impedisce, alla
Editing & Printing… di pubblicare la sua versione della Bibbia…" (pag. 3 della comparsa).
Il paradosso consisterebbe che, poiché questa frase è inserita nel paragrafo
relativo al difetto di giurisdizione, essa si riferirebbe alla "Bibbia" "… quale testo
della scuola pubblica e non al libero mercato…". Parte attrice ne deduce che la
CEI dovrebbe concedere - e qui il dedotto paradosso - il "nulla osta" anche ad alte
versioni della "Bibbia" (dei Protestanti, dei Testimoni di Geova o altre ancora).
La difesa esponente ribadisce nuovamente il proprio assunto: nessuno ha mai
impedito, né impedisce, alla attrice, di pubblicare la sua versione della Bibbia.
La pubblichi pure, se lo ritiene o se ritiene che la sua versione sia pur conforme alle fonti originali, come, peraltro, fanno tutti coloro che non condividono la "versione" proposta dall'organo (la C.E.I.) legittimato dalla Santa sede a curare il
testo sul quale fonda e promuove la propria fede religiosa. Lo faccia pure, se lo
ritiene. Invece, la controparte si duole che il suo testo (che esso solo, quello si,
sarebbe veramente conforme alla "versione originale") non possa essere adottato
quale libro di testo.
Un dubbio, forse, derimerebbe a questo punto, la controversia: ma la controparte
si è mai preoccupata di chiedere a qualcuno l'approvazione del "suo" testo? Vi è
traccia, negli atti processuali, di un qualche rifiuto, da parte dell'Autorità
Ecclesiastica o Ministero o di chiunque altro, a riconoscere quel testo quale
proposta per la formazione degli studenti nell'ambito dell'insegnamento della
religione cattolica?

3) Apprezziamo l'alta competenza in materia di esegesi biblica, teologica e
filosofica che dimostra la controparte nel difendere i propri assunti e contestare le
esegesi degli studiosi - questi sì - di fama mondiale che sostengono la difesa della
C.E.I.; ci riteniamo meno preparati e ci guardiamo bene dal farci coinvolgere in
deduzioni giuridicamente irrilevanti e che avrebbero rilievo in ben altre sedi,
rispetto a quelle delle aule giudiziarie.
Né intendiamo farci coinvolgere in quella che appare, sempre più, una diatriba,
una tra le tante, sul principio di laicità dello Stato, principio del tutto acquisito ma
che evidentemente qualcuno vorrebbe addirittura esasperato.
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