il principale che affiora dal secondario
Nella
parabola del figliol prodigo il figlio
maggiore, che aveva sempre ubbidito al padre, un giorno gli
chiede un capretto per far festa con gli amici. Ma il padre,
pur essendo proprietario di terre e di schiavi, glielo nega.
Il ragazzo rammenta questo episodio perché porta ancora la ferita
morale di un evento che doveva essere gioioso ma che così non
è.
Per quanto il padre replichi "tutto ciò che è mio è
tuo", la sua è una risposta fittizia; o meglio, può
essere vera per diritto di successione ma
non riguarda il quotidiano, al punto che il padre neppure si pente del suo comportamento.

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Da
questi marginali accenni possiamo comprendere quale
fosse la vita
dei due figli accanto a un padre-padrone. Non sorprende dunque
che il
fratello minore, più disinvolto del primo, scelga la
strada della libertà, quasi una scelta obbligata di fronte all'oppressione paterna.
Ne derivano alcune riflessioni.

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prima
riflessione
La responsabilità è del padre, in quanto pecca di avarizia.
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seconda
riflessione
È diseducativo trattare i figli con spilorceria ed
eccessivo autoritarismo, così come, al contrario, trattarli con
totale permissivismo, come spesso avviene nel presente. |
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terza
riflessione
Se il figlio maggiore dissipa gli averi paterni e
frequenta prostitute, la sua non è che una reazione infantile
all'oppressione. Del resto, un padre-padrone difficilmente
trasmette valori positivi ai figli, e spesso una reazione
impulsiva al malcontento genera comportamenti antitetici a
quelli a cui ci si è opposti. Lo stesso rovesciamento che del
resto troviamo nel
padre: prima nega un capretto per la festa del figlio, e poi regala
un anello al
figlio che ritorna e uccide in suo onore il vitello grasso.
Beninteso, "tutto è bene quel che finisce bene", ma
i traumi del passato rimangono... |
quarta
riflessione
Nella vicenda anche la madre ha la sua parte di
responsabilità, che ricade sul suo silenzio.
Quand'anche succube del marito-dominante, ella prova neppure a disapprovare il comportamento del marito, o almeno
non in maniera palese. |
quinta
riflessione
Tutto questo Cristo non lo vede. Anzi, fa confusione tra peccati e
peccatori, e scorge solo il lieto fine del
"Torna a casa
Lassie".
Ben venga l'inatteso rimpatrio e ben vengano le lacrime della commozione.
Ma tutto
questo rappresenta il finale canonico di una tragedia il cui
dramma si è svolto nel primo atto. Quello che Cristo non dà segno di aver compreso.
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sesta
riflessione
Cristo, per dirla con le sue stesse parole, nota la
"pagliuzza" e non
vede la "trave", perché non immagina neppure che quando la relazione genitori/figli si muove nella saggezza educativa,
sacrificare un vitello per la festa
diventa un atto d'amore istintivo. In quel caso diverrebbe inconcepibile
il distacco dalla famiglia, che nasce quasi sempre da un
conflitto, quasi mai da un capriccio. |
settima
riflessione
Festeggiare il ritorno di un figlio dopo anni di
lontananza è il minimo che un padre debba fare, perché, nonostante
tutto,
egli è pur sempre un padre.
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ottava
riflessione
Chi è il peccatore che deve redimersi?
Per Cristo è il figlio e ciò fa sì che il padre-padrone sia
ritratto invece come una figura esemplare. |
penultima
riflessione...
Oggi esiste un codice deontologico degli avvocati, uno degli
infermieri ma non c'è un codice comportamentale per i genitori: la legge
madre di tutte le leggi. Una pedagogia concreta che, partendo
dalla prassi, punti alla
felicità dei fanciulli in seno alla famiglia non equivarrebbe
certo alla scomparsa dei disaccordi, ma
forse eliminerebbe o almeno ridurrebbe arcaici conflitti.
Perché il futuro di un adulto comincia nell'infanzia.
E se qualcuno dovesse giudicarla un'utopia, non sarà forse per non dover ammettere un altro limite di Dio?
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